lunedì 16 gennaio 2017

Cercare...

Oggi è il Blue Monday. Altra "invenzione" americana, stavolta non ci siamo impegnati nemmeno in una traduzione decente. Non sapevo cosa fosse fino a stamattina, quando il mio capo, entrando in ufficio, mentre si toglieva lo sciarpone d'ordinanza, ha dato il triste annuncio.
Qui si trovano notizie su quella che sembra essere un'altra operazione pubblicitaria stile Halloween (che io cordialmente detesto, sapevatelo), tutta incentrata su un melting pot (per restare in tema di anglismi) di psicologia e calcoli matematici. In effetti la giornata non è stata un granché, devo confessarlo. Sono stata funestata da un incomprensibile nervosismo che ho attribuito al mal tempo e al freddo; doveva venire la rappresentante Tupperware ed ha avuto un problema; ho provato "antiche" e fastidiose sensazioni che un po' mi hanno irritata. E qui mi fermo perché mi sembra sufficiente.
Adesso va un po' meglio. Strano, perché è sera e di solito mi assale una sorta di tristezza cosmica della quale ho imparato a non chiedermi l'origine. Mi sono fatta una tisana, mi sono mangiata dei gustosi supplì (la mia cena) e sto "covando" l'intenzione di iniziare a meditare (mi sono attrezzata con tutti i libri utili).
Stamattina mi sono goduta un meraviglioso, unico, irripetibile silenzio. In un oratorio. Ci vado tutti i giorni a cercare il Padreterno e un po' di serenità. Stamattina non c'era proprio nessuno. Le suore che hanno cura delle celebrazioni erano al caldo nella sacrestia a fare le preghiere mattutine. Il silenzio era come un materasso di gomma in cui affondare, interrotto piacevolmente soltanto dal gorgoglio della cascatella del presepe. Ho provato un intenso senso di pace. E' questo Dio? Non lo so. Lo cerco da una vita. Spesso lo perdo, a volte lo ritrovo per poi perderlo di nuovo.
Sono una persona un po' disordinata, confusionaria, spesso incostante. Ma non è questo il "problema". E' l'inquietudine, in realtà. Un senso di non completezza, di avere qualcosa, di trovare qualcosa, di niente che mi soddisfi mai completamente. I momenti di beatitudine, come li chiamo io, sono sempre brevi, se pure intensi. Come se mi sfuggissero ridendo per farsi inseguire, non curandosi dei giorni e giorni di condanna alla semioscurità dell'anima.
Vorrei essere tanto equilibrata, saggia, consapevole, coerente e cose del genere. Ma io sono anche questa: sono una sorta di vulcano costantemente in ebollizione. Sono incoerente, a volte. Ed anche poco equilibrata, confusa, smarrita.
Forse troverò Dio nel momento in cui inizierò realmente ad amare me stessa. E' questa la risposta?
Adesso sono in pace. La giornata è quasi terminata. Ho mal di schiena e voglia di distendermi. Domani è martedì. Mi aspetta il consueto appuntamento con il "meccanico" (è così che chiamo lo psicologo), che cercherà di convincermi a gettarmi allegramente nella massa, a socializzare, malgrado non ne abbia, al momento, la benché minima voglia. Detesto i compiti in classe e socializzare, al momento, non è il mio principale problema. Gliel'ho detto. Ma pare che lui sappia quale sia il mio bene meglio di me. Curioso: tutti sembrano sapere meglio di me cosa mi farebbe bene e cosa mi farebbe male. Bisogna chiarire la faccenda, prima che si convincano seriamente di avere ragione.

Il vuoto del nulla

Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l'ha
(Vasco Rossi)


E' una domanda che mi vien su specialmente quando leggo i titoli dei giornali (a volte non ho il coraggio di andare oltre i titoli). La gran parte dell'umanità mi sembra avvolta in una spira di violenza, sofferenza, indigenza, narcosi collettiva. E c'è una piccola parte della medesima umanità che si comporta come se non fosse di questo mondo, come se non fosse fatta della stessa "materia" di chi soffre, di chi ha fame, di chi subisce o fa violenza.
Mi sorprendono e, in parte, mi disgustano le notizie di siti per stramiliardari, in cui costoro fanno sfoggio della loro "ricchitudine"; allo stesso modo mi lasciano perplessa (in negativo) i social in cui ci si espone come carne in macelleria, tette e culi un tanto al chilo. Ragazze più o meno belle con la bocca a culo di gallina, i glutei esageratamente evidenziati, le pose che rasentano quelle delle pornostar... Perché? Perché tutto questo "sfoggiare", sbattere in faccia ricchezza o corpi palestrati, siliconati, gonfiati? La vita è, dunque, solo superficie, apparenza?
Ste cose mi rattristano. Mi sembra di essere circondata da un mondo fatto a bolla di sapone, finto, pronto a scoppiare da un momento all'altro. Mi sento fuori posto, una specie di disadattata, autistica, che tarda a capire. Perché se tutti fanno così, tu che non capisci sei lo scemo di turno.
Ieri, ad esempio, in una nota trasmissione televisiva (nota soprattutto per le polemiche che suscita e il trash che produce), è stata ospitata una ragazzina di 18 anni (per me a 18 si è ancora "ragazzini"), una schermitrice, molto carina, che sul suo profilo Instagram si mostra in diverse pose, audaci, ammiccanti, culo e tette sempre attentamente in vista, sguardo malandrino, bocca rigorosamente a culo di gallina. Motivo dell'ospitata: un giocatore di calcio avrebbe chiesto, sempre su Instagram, alla suddetta ragazzina, di mandargli un particolare più ravvicinato del lato B (un giro di parole per dire "culo") perché aveva il dubbio che fosse rifatto (dubbi esistenziali davvero! Di quelli che non ci dormi la notte e non ci mangi il giorno). Lei si è piccata, gli ha risposto che era "malato" e lui l'ha bannata. Ora lei è pentita e vorrebbe rimettersi in contatto con la macchina da soldi. Non si sa mai.
Ecco, a me ste cose mi disgustano un pò. E' il trionfo dell'ignoranza, dell'apparenza, del vuoto. Si, il vuoto totale, assoluto, irrimediabile. Vite annoiate che passano da un selfie ad una chat ad un altro selfie senza soluzione di continuità. Se appari sei, esisti. Questo l'assioma. La vita diventa, quindi, una sorta di spettacolo continuo, finquando madre natura non decide di "bastonarti" facendoti calare le tette e ammosciandoti il viso e il culo, che poi sono - a ben vedere! - la stessa cosa.
Tutt'intorno è più o meno così. Vite spese ad imitare, più che a coltivare la propria originalità. Mi sembra di camminare e vivere in un mondo di cloni, di bambole gonfiabili, senza anima, senza cervello. E' spaventoso. L'incomunicabilità non è mai stata a questi livelli. Ci si parla sui social networks, mica di persona. Ci si mette insieme via chat. Si litiga e si fa pace su whatsapp; si muore per un "like" non dato...
Forse è vero che c'è troppa cocaina nell'aria.
Forse è vero che siamo al tramonto e che dovrà esserci un'umanità nuova...
Sicuramente è vero che in questo modo non si può andare molto avanti.

lunedì 9 gennaio 2017

Out of here

Continuano le temperature polari. Stamattina mi sono "addobbata" stile Amudsen alla conquista del Polo Sud. Passerà anche quest'inverno, anche questo freddo e nel frattempo cerco di godermi per quel che posso i minuti, i secondi ed anche i silenzi. Perché Roma è straordinariamente silente, in queste fredde mattine di gennaio.
Sul bus si sta tutti zitti zitti, affondati nei giacconi, nelle sciarpe, nei cappelli e nei telefonini. Nemmeno i gruppetti di donne, solitamente impiegate nelle pulizie degli uffici, ci "allietano" con il loro cicaleccio. Le strade del centro sono semideserte, fatta eccezione per quelli che, come me, devono andare a lavorare e che, frettolosi e raccolti in se stessi, sfilano silenziosamente tra un bar ed un vicolo deserto. Fa tutto una strana impressione, a dire il vero. L'unica "nota di colore" è l'albero di natale che ancora brilla in piazza Venezia. Nella tristezza delle feste appena trascorse, è forse la sola cosa che riesce a strappare un sorriso ed uno sguardo sognante.
Non sono tanti nemmeno i turisti che di solito "infestano" le strade. Il freddo deve aver scoraggiato anche loro. C'è un sole vivido e chiaro, una giornata bellissima. Eppure... eppure una leggera vena malinconica un pò offusca il godimento di questa luce, di questo cielo sgombro dei nubi. E' come se mancasse qualcosa che non so cosa sia. E' come se avvertissi un angolo vuoto dentro di me, ma non ricordassi cosa l'occupava prima.
Mi rifugio, allora, nei piccoli gesti di ogni giorno, per trovare, nella quotidianità, un senso, un pò di tranquillità. Riordino la scrivania, la casa, i documenti sul pc; cerco di fare la "brava massaia" con un certo grado di impegno; mi occupo, con più interesse di prima, della spesa, della cucina, dei lavoretti da far fare all'idraulico. L'angolo buio rimane sempre lì, ma è meno angosciante, un'ombra nella quale non si nasconde l'uomo nero di quando ero piccola.
Probabilmente queste ombre che, di tanto in tanto, attraversano il mio orizzonte, riflettono la malinconia di cose non vissute, di tutte quelle spinte dello spirito sedate da un'educazione rigida, dalle paure, dalle inibizioni e dalla consapevolezza che ora quelle cose, quelle emozioni, quei "panorami" non possono più tornare. Forse quelle ombre sono i rimpianti. Sono leggeri come il fumo di una sigaretta: trasparenti, si allontanano alla prima folata di vento. Ancora permangono, dentro di me, paure e inibizioni. Le avverto come se fossero dei freni potenti, delle corde che mi tirano indietro nel momento in cui provo a slanciarmi in avanti. E' come se, a volte, fossi "frenata".
Bene, non è il caso di evocare più certe cose. Non ho voglia di concentrarmi sulla soluzione dei "problemi", perché mi farebbe perdere la vita. Lo stesso errore che tante volte ho fatto in passato, il "padre putativo" di quelle ombre che, ogni tanto, vengono a trovarmi. Ecco, stasera lascerò andare i pensieri a correre altrove. Me ne starò come seduta in veranda a guardarli giocare, fuori da me. Io voglio starmene così, incantata e vuota.

domenica 8 gennaio 2017

Il rumore del silenzio

Fa un freddo becco. Non ricordavo da tempo un freddo così. Mi sono tappata in casa, affondata nel pigiama e nella vestaglia di pile. Ho sperimentato il silenzio.
La mia mente, di solito, è iperattiva. I pensieri si inseguono, si sovrappongono, si superano. Io stessa fatico a star loro dietro. Certe volte mi svegliano pure il sabato mattina presto, quando potrei dormire tranquillamente fino a tarda ora. Allora per chetare questi "pargoli" fastidiosi accendo lo stereo oppure la televisione e mi getto in qualcosa di materiale da fare. Qualcosa che mi consenta di "distogliere" l'attenzione da quel vociare che c'è, spesso, nella mia testa.
Oggi ho voluto fare diversamente. Non ho acceso né lo stereo né la televisione e non mi sono gettata a capofitto nelle faccende domestiche (che, peraltro, detesto simpaticamente). Ho deciso di aspettare in silenzio. Trovo che il silenzio sia consolante, rassicurante. O, almeno, in certi momenti lo è. Forse dipende dallo stato d'animo o dalla situazione. Comunque non è male, anzi.
Il fatto è che vivo costantemente immersa nel rumore, al punto che, all'inizio, il silenzio sembra solo un sibilo strano che ruota tutt'intorno. Un non-silenzio, insomma. Il rumore fa parte della mia vita, un sottofondo, una colonna sonora alla quale non faccio più tanto caso, quasi non ci fosse. L'aria è piena di voci, di clacson, di richiami, di sferragliare di tram o di bus, di fischi, di canzoni, di notizie... Full immersion in tutto questo sette giorni su sette.
Oggi, seduta in silenzio con un libro, mi è sembrato di sprofondare in un morbido materasso di piume. Consolante. Mancava solo un bel caminetto acceso, con la legna che scoppietta allegramente. Ho scoperto di non desiderare nient'altro. Avevo tutto quel che mi serviva. Le cose creano dipendenza, persino i libri. Penso che ripeterò a breve l'esperimento, riservandogli il tempo che merita, ricavandolo tra il lavoro e gli impegni pomeridiani. Non accenderò più stereo o televisione, quando tornerò a casa. Starò semplicemente in ascolto del silenzio. Starò in silenzio, ecco, senza obbedire a quelle pulsioni ossessive di "fare" qualcosa per riempire i minuti e le ore. So che è questione di abitudini.
Domani è lunedì, triste giornata 😁, primo giorno della settimana. Ancora più triste visto che nel pomeriggio mi tocca pure andare dal dentista e sono quasi certa che "qualcosa" finirà per trovare. Poi dovrò comprare qualcosa per il sostentamento fisico (leggi: fare la spesa). Cerco di fare attenzione a non forzare mai i tempi, a non cominciare la rincorsa ai minuti e alle cose da fare. Se non potrò fare la spesa, pazienza, la farò il giorno seguente.
Ma certo non rinuncio al mio angolo di silenzio. E' allora che sento la mia voce, quella che gli altri non sentono, quella che io stessa tendo a reprimere per tutto il giorno. Sto esercitandomi ad ascoltarla, a capirne le sfumature, i bisogni.
Forse quest'anno è davvero partito con il piede giusto. Freddo a parte. 😶

giovedì 5 gennaio 2017

Festina lente...

Ci sono attimi che sembrano sospesi. Immobili, come se il tempo si fosse fermato davvero. Attimi meravigliosi in cui il mondo, tutto il mondo, con il suo chiasso, le sue luci, le sue ombre, sta fuori. Fuori dalla stanza, fuori dalla vita, fuori dai pensieri.
Momenti rari e preziosi nei quali mi sento realmente io, mi sento finalmente parte del genere umano e non una scheggia smarrita di un mondo fuori controllo.
Sono per i tempi lenti, quelli che permettono di assaporare ogni momento, di vedere ogni sfumatura, di cogliere i piccoli particolari nascosti nelle pieghe delle giornate. Per molto tempo sono stata presa in giro per questo. Mi è stato detto che ero "lenta" ed io l'ho percepita come un'offesa. Ho cercato di cambiare. Rabbiosamente. La rabbia era ed è ancora in parte un problema, per me. Ho cercato di accelerare, di imparare ad andare ad un ritmo che non era il mio.
Ero mentalmente e psicologicamente "giovane". Adesso penso che la lentezza sia una virtù. Chi va lentamente può fermarsi senza far danni e il fermarsi non è una frenata improvvisa, ma un momento di riflessione o di pura contemplazione. La lentezza consente di cogliere le sfumature, e le sfumature sono importanti. Spesso fanno la differenza. Creano ombre oppure illuminano. La vita è troppo frenetica, i tempi troppo incalzanti per cogliere sfumature e particolari. Siamo costantemente sottoposti a pressioni, incalzati dagli impegni, dalle responsabilità, dall'ansia.
Io ho deciso che non voglio più vivere così. Ho sperimentato che questi ritmi non sono i miei ritmi e che la mia salute, mentale e fisica, ne ha sofferto per troppo tempo. Non mi importa che mi dicano che sono "lenta", ora lo considero un complimento. Vado lentamente. Mi sto applicando a vivere la lentezza anche quando guido la macchina, ignorando chi strombazza alle mie spalle, chi mi taglia la strada, chi mi lancia improperi. Devo ancora lavorarci su un pò, ma non va male.
La vita è fatta di momenti, tutti ugualmente preziosi. Spesso ce ne accorgiamo troppo tardi, quando non possiamo più recuperarli, nemmeno nella memoria. Io voglio avere bei ricordi a farmi compagnia, voglio assaporarli come si fa con un buon vino. Voglio che mi tengano compagnia come un libro, magari uno dei miei preferiti.
Credo che solo così la vita possa avere la sua compiutezza, quando si scandiscono, lentamente, tutte le note di cui è capace, quando si fanno brillare tutti i colori che possiede. E questo, obiettivamente, non può essere fatto con i ritmi schizofrenici della cosiddetta "vita moderna". I popoli orientali la sanno molto lunga: i giapponesi hanno il "rito del the", una lunga e complessa cerimonia per celebrare l'attimo in cui ci si ferma a gustare quegli attimi sospesi che danno un senso alla vita.

mercoledì 4 gennaio 2017

L'addio

Ieri sono andata ad un funerale. E' morto il padre di un amico, dopo una lunga malattia. Ho rivissuto, nel corso del viaggio verso la chiesa e durante la cerimonia, le emozioni e i ricordi legati alla morte di mio padre.
Sarà perché abbiamo parlato molto, con questo amico, del suo rapporto con il padre, delle vicende della sua malattia, del suo scendere - lento e sofferto - verso il porto di partenza definitivo. A volte sembra che le morti si somiglino. Un pò come gli addii.
Di fronte alla "nera signora" siamo nudi e soli, non c'è niente da fare. Mi viene in mente, a tal proposito, la splendida lastra della Tomba del Tuffatore custodita nel Museo di Paestum. Questo giovane uomo (all'epoca la vita era molto più breve) ritratto sospeso tra il mondo di qua e l'oltretomba, in uno slancio che appartiene già ad un mondo diverso da quello dei vivi. Ecco, di fronte alla morte, penso, siamo un pò come il Tuffatore: soli, ancora ancorati al mondo, vicino come il piedistallo dell'affresco, eppure già proiettati verso quell'aldilà non definito che è pronto ad accoglierci.
Non sappiamo cosa ci sia oltre. Chi ha una fede più forte della mia è convinto che ci sia un mondo migliore, che il Padreterno sta lì, pronto ad accogliere le nostre anime deboli, confuse e spaventate. Ma nessuno è tornato a raccontarci cosa davvero succede, per cui ciascuno può dipingere l'ultramondano secondo la fede, la cultura, le paure, le aspettative che ha.
Ricordo di aver carezzato la fronte di mio padre. Era ancora caldo quando sono arrivata in ospedale. Sembrava essersi addormentato, uno dei suoi sonni a bocca aperta. Sapevo che così non era, però. Sapevo che non lo avrei più rivisto, che non avrei più sentito la sua voce né la sua risata. Mi sono imposta di conservarne il ricordo dentro di me, come una fotografia da tirar fuori nei momenti in cui mi prende, struggente, la malinconia e il rimpianto.
Ieri, sommessamente, tra me e me, ho avvertito le medesime sensazioni di allora (due anni fa, oramai). Ero con altre persone, per cui non mi sono concessa il "lusso" delle emozioni. Sono molto schiva, preferisco vivere certe cose quando so di essere sola, ma i ricordi c'erano tutti, vividi come se fosse accaduto l'altro ieri. Forse è stato proprio ieri che ho trovato il coraggio di lasciar andare mio padre...

lunedì 2 gennaio 2017

Vuoto di senso e senso di vuoto, parafrasando Battiato

Secondo giorno dell'anno.
Ogni giorno è un nuovo inizio, voglio vederla così, in questa fase della mia vita. E' naturale che abbia la tentazione a fare dei "piani" per il futuro, ma il futuro non è pianificabile. La vita riserva imprevisti e colpi di scena, quindi tanto vale vivere qui ed ora. Hic et nunc, dicevano i nostri saggi avi.
Le feste sono passate. E' l'unica osservazione nel merito di questo fine d'anno che mi viene da fare. Il freddo è arrivato pungente e puntuale come le cartelle di Equitalia. Altrettanto puntuale l'attentato di Istanbul, in una discoteca, l'ultimo dell'anno. A ricordare di non dimenticare di aver paura. E così pure i casi di meningite che stanno flagellando in particolare la Toscana, ma un caso si è registrato anche a Roma. Stesso registro: la paura. Viviamo immersi in una quotidiana atmosfera di opprimente paura. Magari passo pure da complottista, ma la paura è funzionale al controllo e penso che ci siano menti piuttosto malvage e sottili, dietro tutte queste paranoie esistenziali.
Sono anni bui, tristi, freddi. Certuni hanno scritto che tali furono quelli del Medioevo, ma almeno il Medioevo ha avuto quegli splendori artistici e quei potenti slanci spirituali che mancano enormemente oggi. Oggi il vuoto e il nulla la fanno da padroni assoluti anche nell'arte, intesa come massima espressione delle capacità umane a tutto campo: musica, pittura, scultura, recitazione e compagnia cantante.
Ieri sono andata da mia madre e con lei ho guardato (😫) uno di quei programmi pattumiera offerti dalla tivvù. Un programma che certuni devono aver giudicato talmente interessante et bello et maraviglioso da riproporlo ad uso e consumo di qualche annoiata casalinga che sta cercando di appisolarsi sul divano dopo il pranzo-harakiri del primo dell'anno. La celebrazione del nulla, del vuoto, nell'inconsistente, dell'inesistente, del cattivo gusto, della provolonaggine fatta passare per furbizia.
So che a mia madre questo genere un pò piace, le "tiene compagnia" (ohibò!) ed ho represso un sospiro, ma non il disgusto. I convenuti in questa sorta di "salotto per casalinghe annoiate" disquisivano tra loro, con i toni delle anatre spaventate in uno stagno, di una certa sfilata sul "red carpet" della mostra del cinema di Venezia. Detesto gli anglismi, è come se ogni volta che li si usa si desse una pugnalata al nostro magnifico idioma. Avrei preferito "passerella", ma tant'è: red carpet è stato detto e red carpet sia. Tanto la volgarità e l'insulsaggine è pari a quella di certe mode d'oltreoceano.
I saggi convenuti, dunque, disquisivano sull'abbigliamento di due fanciulle senza arte né parte, che hanno vissuto il loro primo (e spero ultimo) quarto d'ora di notorietà presentandosi, accompagnate da quello che è stato definito "stilista", con indosso due "creazioni" che nulla lasciavano all'immaginazione e, soprattutto, hanno risolto il problema che assilla i migliori cervelli italioti: ma le modelle ce l'hanno le mutande sotto i vestiti? Beh, se si vedevano gli spezzoni, mandati e rimandati generosamente almeno una ventina di volte, si aveva la risposta.
Ecco con quali eccelsi argomenti di conversazione abbiamo aperto le danze del 2017. Ecco lo specchio del vuoto e del vacuo che rende così tristi questi anni. Vuoto di cervelli, di idee, di creatività, di inventiva, di originalità, di buon senso. Vuoto assoluto, sempiterno, angosciante. Trovarsi a discutere delle parti intime di due morte di fama è la celebrazione di quel che siamo diventati. E questo, a dire il vero, mi spaventa molto. Arriverà il giorno in cui i robot ci fregheranno per sensibilità, me lo sento.