mercoledì 25 aprile 2018

Cattivi maestri...

Eva Sacconago (Foto: varesenews.it)
Mi incuriosiscono moltissimo le storie di vita "comune", quelle confinate in alcuni programmi televisivi di seconda serata, come se fossero storie di vite che è meglio non conoscere, che è meglio dimenticare e non considerare. Tanto chi li vede i programmi in seconda serata?
Per fortuna sul web viene offerta una varia scelta di repliche di questi programmi ed ogni tanto mi "diletto" a guardarne qualcuna. Uno dei programmi a mio parere meglio strutturati è sicuramente "Un giorno in Procura", che trasmette stralci di processi controversi, talora forti e drammatici, a volte molto noti come il processo per il delitto di Avetrana, a volte quasi sconosciuti.
Questa volta ho visto, in "religioso" silenzio, è il caso di precisarlo, il processo a suor Mariangela Farè, accusata di una serie di atti che non ci si aspetterebbe che una suora possa commettere, ultimo dei quali, gravissimo quanto gli altri, spingere una giovane donna, Eva Sacconago, di 27 anni, al suicidio. E' stata una visione difficile, drammatica, lo confesso, che mi ha lasciato un senso di nausea oltre che un immenso sentimento di pietà e di rammarico per una vita così sfortunata e spezzata precocemente. Un senso, un sentimento, che tuttora mi accompagna attraverso alcune riflessioni, essenzialmente a motivo della fede che, comunque, mi accompagna nel mio cammino.
La storia di Eva Sacconago, perché è lei la vera protagonista, bisogna riconoscerle almeno questo, anche se è morta, è una storia dura e complessa di una ragazza fragile e smarrita lungo le strade dell'adolescenza e dell'età adulta che ha incontrato una cattiva educatrice. Una pessima educatrice, che non ha esitato ad approfittare di un'anima fragile, confusa, disorientata.
Certe storie mi turbano, lo confesso, si insinuano nelle pieghe delle mie convinzioni religiose contaminandole con la diffidenza. Razionalmente posso convenire che la maggior parte di uomini e donne che scelgono la via della fede sono profondamente motivati. Emotivamente, però, percepisco anche che la debolezza della natura umana può deviare e stravolgere certe motivazioni.
Ho a lungo riflettuto su questa storia e sulle sue implicazioni nelle vite di chi vi è stato coinvolto a vario titolo e nelle vite di chi l'ha solamente conosciuta per mezzo dei media, come me. Non ho messo in discussione la mia fede in Dio: non è responsabile del comportamento degli esseri umani, delle loro scelte. In fondo abbiamo deciso e voluto essere liberi che, a mio parere, resta la scelta migliore. E scegliendo la libertà di azione e di pensiero ce ne accolliamo anche le conseguenze.
Metto, piuttosto, in discussione la moralità, il buon senso, la capacità di comprendere - l'intelligenza, in fondo - di certuni che dicono di voler seguire strade ben precise e di continuare a farlo malgrado abbiano una vita palesemente in contrasto con i valori che quelle strade richiedono.
Se, poi, tutto questo porta al suicidio di una giovane, fragile, vita non nego di provare una rabbia che non esito a definire "giusta". Una reazione misurata e razionale ma non meno veemente. Ho imparato a gestire la mia rabbia. Questa "suora", questa che diceva di essere una donna di fede, meriterebbe ben altro rispetto ai quattro anni che le sono stati dati dalla giustizia, con annessi e connessi.
Ha commesso un omicidio senza essersi materialmente sporcata le mani del sangue della sua vittima. Un omicidio dell'anima e del corpo. E mi tornano evangeliche immagini di pietre legate al collo...

Se qualcuno fa perdere la fede a una di queste persone semplici
che credono in me, sarebbe meglio per lui essere gettato
in mare con una grossa pietra legata al collo.
*Marco 9, 42*