In questi giorni percepisco chiaramente tutta la mia fragiltà, tutti i miei limiti, tutte le mie paure. Mi sento letteralmente in alto mare. Sarà perché ho seriamente messo in discussione una serie di scelte e di atteggiamenti (miei, ovviamente). Sarà perché, anche, ho deciso di vivere più profondamente la mia fede, dopo aver "lottato" per diverso tempo con una parte di me stessa, con il mondo intero (più o meno) e con la mia problematica autostima.
In questa fase di ritorno dalla convalescenza sto camminando pianissimo, così come mi è stato consigliato dalla fisioterapista. Ed anche questo mi sta offrendo una visione del mondo diversa ed anche una visione della vita e delle cose della vita che prima non avevo, presa com'ero a cercare di tornare a casa dal lavoro il prima possibile, a cercare di sopravvivere in un ambiente lavorativo ostile e deprimente. Non devo sopravvivere, devo, piuttosto, vivere. Anche se le condizioni intorno non sono favorevoli, non sono quelle che desidererei. C'è sempre qualcosa di buono da portare a casa, basta cercare, basta fare attenzione.
Non credo che le cose capitino a caso, penso, piuttosto, che ogni cosa che accade abbia qualcosa da insegnarmi. Spesso le "lezioni" non sono proprio una passeggiata di salute, soprattutto perché mi sono accorta che spesso sono io a rifiutarmi di apprendere. Anche questa recente pausa forzata, dovuta ad un intervento più complesso del previsto, è sicuramente stata un'ottima occasione per capire come e cosa devo cambiare nella mia vita.
Riavvicinarmi alla fede è un'operazione piuttosto lunga, ma necessaria. Non sono mai stata atea, in definitiva. Ho sempre creduto, dapprincipio per educazione, visto che provengo da una famiglia cattolica, poi per convinzione personale. Avverto la mancanza di una dimensione trascendente, più spirituale che fa parte di me, lo so. Che è una necessità, oltre che essere una scelta.
In questi ultimi 10 anni ho fatto una full immersion nella realtà che non è stata salutare, perché mi sono lasciata investire da vicende e da situazioni che mi hanno lentamente logorata. E, in fondo, il mio sentirmi fuori posto, stanca, un po' depressa temo sia anche frutto di questo concentrarmi troppo sul negativo della vita. Per intenderci: troppa cronaca nera, troppi telefilm in cui la violenza, i delitti, la paura la facevano da padrone. Lentamente queste cose è come se tutto questo mi avesse avvelenata. Non ho saputo (o voluto?) filtrare le esperienze, le situazioni, le notizie, gli umori, le reazioni. Sono andata - ancora una volta - troppo di fretta a catalogare, arrabbiarmi, additare, detestare. Ad un certo punto, non so precisamente quando ma poco importa, ho cominciato a vedere tutto nero, irrimediabilmente: mondo, umani, situazioni... Non vedevo più via d'uscita, non vedevo riscatto, non vedevo soluzione.
Ora è tempo di venirne fuori. Venir fuori da questa "disperazione esistenziale" che ha lentamente eroso il mio fondamentale positivismo, la mia fiducia, la mia grinta. Mi chiedo se, forse, era necessario questo perché approdassi ai convincimenti ed alle risoluzioni che sto attualmente esplorando. Devo accettare anche che non ci siano, spesso, risposte. Devo accettare, anche, di lasciar andare, di non pensare. Devo accettare che bisogna assaporare la vita, non tragugiarla senza memorizzarne il sapore, l'odore. Non ci deve essere fretta, ma consapevolezza.
Tutto questo comporta, inevitabilmente, uno stravolgimento dei ritmi di vita. In positivo, beninteso. Lentezza, consapevolezza, tempo, osservazione, ascolto. A volte prevale la vecchia tentazione di gettarmi nelle "braccia" metaforiche di quelle situazioni nelle quali mi sono sempre mossa. A volte cedo, poi, però, capisco e mi riprendo, cosa che prima non accadeva. Se c'è un programma che mi inquieta, per televisione, per esempio, invece di guardarmelo fino in fondo con morbosa curiosità, adesso cambio canale. Mi cerco un programma sugli animali, per esempio, o sulle bellezze di questo nostro splendido Paese. Voglio alleggerire la mia testa e il mio animo, non pensare, non angustiarmi per situazioni che non posso risolvere perché non sta a me farlo. Non voglio vivere con una nuvola nera costantemente avviluppata attorno alla mia testa e al mio cuore.
Al momento questa decisione mi sta scuotendo non poco. Avverto tutta una sorta di malesseri sia fisici che interiori. Turbolenze, voglia di piangere, attacchi di panico, ipocondria... e chi più ne ha più ne metta. Non sempre riesco a rimanere serena e consapevole. Ho avuto due episodi di totale smarrimento, nei quali ho pianto e mi sono disperata come una bambina impaurita. E tale mi sentivo.
Ho fiducia che tutto questo contribuirà a creare una me stessa migliore, ma al momento mi fa tremare le vene ed i polsi... Panta rei, tutto scorre. Tutto passa.