domenica 29 dicembre 2019

Destini incrociati

Pietro, Gaia e Camilla, i tre ragazzi coinvolti nell'incidente
(Foto: tiscali.it)
La vicenda delle due ragazze di 16 e 17 anni morte pochi giorni fa, Gaia e Camilla, mi ha colpito molto. Era un pomeriggio piovoso, il semaforo per loro era rosso, l'auto che le ha investite andava troppo veloce anche se aveva il verde e chi la guidava aveva un tasso alcolemico alto, oltre che tracce di droga nel sangue. Non solo. Chi guidava aveva avuto, in passato, la patente ritirata sempre per problemi di droga e solo di recente gli era stata riconsegnata.
E' una storia terribile, di ragazzi di Roma. Di una giornata funesta. Di scelte sbagliate. Di incoscienza e sfortuna. Difficile venirne fuori con un colpevole che sia tale al cento per cento. Perché anche chi andava ad 80 all'ora in un giorno di fitta pioggia su una strada di Roma, con alcol e droga nel sangue, non è colpevole al cento per cento. E le ragazze che hanno lasciato la loro giovane vita sull'asfalto non sono, di converso, innocenti al cento per cento.
E' una vicenda dai contorni ancora un poco sfumati, imprecisi, come tutte le tragedie che coinvolgono giovani vite. Il destino passava, quel giorno, su quella strada, digiuno del suo quotidiano bottino di dolore e disperazione. Sarebbe bastato un attimo in più o in meno. Forse un'indecisione, un ripensamento, una distrazione diversa.
Distribuire le colpe così come si distribuiscono caramelle ai bambini è quanto mai inopportuno, in questa vicenda. E' umano, lo comprendo, cercare il colpevole: per molto tempo in vicende simili l'ho fatto anche io. Ma mai come in questa situazione, forse, un colpevole vero, puro, indiscutibile manca. Certamente la forte velocità (80 chilometri l'ora sono esagerati in una città come Roma, buche a parte, funestata da attraversamenti sconsiderati di pedoni e da una viabilità pericolosissima) è stata una causa determinante. Probabilmente se il ragazzo, Pietro, fosse andato più piano se la sarebbe cavata con molto spavento, una frenata da lasciarci, magari, i copertoni e tutto lì. Ma è stato determinante anche quell'attraversare incoscientemente una strada di grande scorrimento, oltretutto con un semaforo che segnalava chiaramente il via libera alle automobili. E poi la pioggia. Quella pioggia battente che, complice il crepuscolo, ha generato un effetto nebbia. I contorni di cose e persone sono diventati imprecisi. Quando piove in quel modo, tutto diventa impreciso: i contorni delle cose, delle persone, le distanze...
Rimangono tre giovani vite spezzate per sempre. Due lasciate sull'asfalto bagnato ed una ora ai domiciliari con il peso delle altre due sulla coscienza, con quello schianto per sempre negli occhi come un leit motiv che non ne vuole sapere di fermarsi. Provo un grande dolore per tutti e tre.

lunedì 16 dicembre 2019

Passaggi lenti

In questi giorni percepisco chiaramente tutta la mia fragiltà, tutti i miei limiti, tutte le mie paure. Mi sento letteralmente in alto mare. Sarà perché ho seriamente messo in discussione una serie di scelte e di atteggiamenti (miei, ovviamente). Sarà perché, anche, ho deciso di vivere più profondamente la mia fede, dopo aver "lottato" per diverso tempo con una parte di me stessa, con il mondo intero (più o meno) e con la mia problematica autostima.
In questa fase di ritorno dalla convalescenza sto camminando pianissimo, così come mi è stato consigliato dalla fisioterapista. Ed anche questo mi sta offrendo una visione del mondo diversa ed anche una visione della vita e delle cose della vita che prima non avevo, presa com'ero a cercare di tornare a casa dal lavoro il prima possibile, a cercare di sopravvivere in un ambiente lavorativo ostile e deprimente. Non devo sopravvivere, devo, piuttosto, vivere. Anche se le condizioni intorno non sono favorevoli, non sono quelle che desidererei. C'è sempre qualcosa di buono da portare a casa, basta cercare, basta fare attenzione.
Non credo che le cose capitino a caso, penso, piuttosto, che ogni cosa che accade abbia qualcosa da insegnarmi. Spesso le "lezioni" non sono proprio una passeggiata di salute, soprattutto perché mi sono accorta che spesso sono io a rifiutarmi di apprendere. Anche questa recente pausa forzata, dovuta ad un intervento più complesso del previsto, è sicuramente stata un'ottima occasione per capire come e cosa devo cambiare nella mia vita.
Riavvicinarmi alla fede è un'operazione piuttosto lunga, ma necessaria. Non sono mai stata atea, in definitiva. Ho sempre creduto, dapprincipio per educazione, visto che provengo da una famiglia cattolica, poi per convinzione personale. Avverto la mancanza di una dimensione trascendente, più spirituale che fa parte di me, lo so. Che è una necessità, oltre che essere una scelta.
In questi ultimi 10 anni ho fatto una full immersion nella realtà che non è stata salutare, perché mi sono lasciata investire da vicende e da situazioni che mi hanno lentamente logorata. E, in fondo, il mio sentirmi fuori posto, stanca, un po' depressa temo sia anche frutto di questo concentrarmi troppo sul negativo della vita. Per intenderci: troppa cronaca nera, troppi telefilm in cui la violenza, i delitti, la paura la facevano da padrone. Lentamente queste cose è come se tutto questo mi avesse avvelenata. Non ho saputo (o voluto?) filtrare le esperienze, le situazioni, le notizie, gli umori, le reazioni. Sono andata - ancora una volta - troppo di fretta a catalogare, arrabbiarmi, additare, detestare. Ad un certo punto, non so precisamente quando ma poco importa, ho cominciato a vedere tutto nero, irrimediabilmente: mondo, umani, situazioni... Non vedevo più via d'uscita, non vedevo riscatto, non vedevo soluzione.
Ora è tempo di venirne fuori. Venir fuori da questa "disperazione esistenziale" che ha lentamente eroso il mio fondamentale positivismo, la mia fiducia, la mia grinta. Mi chiedo se, forse, era necessario questo perché approdassi ai convincimenti ed alle risoluzioni che sto attualmente esplorando. Devo accettare anche che non ci siano, spesso, risposte. Devo accettare, anche, di lasciar andare, di non pensare. Devo accettare che bisogna assaporare la vita, non tragugiarla senza memorizzarne il sapore, l'odore. Non ci deve essere fretta, ma consapevolezza.
Tutto questo comporta, inevitabilmente, uno stravolgimento dei ritmi di vita. In positivo, beninteso. Lentezza, consapevolezza, tempo, osservazione, ascolto. A volte prevale la vecchia tentazione di gettarmi nelle "braccia" metaforiche di quelle situazioni nelle quali mi sono sempre mossa. A volte cedo, poi, però, capisco e mi riprendo, cosa che prima non accadeva. Se c'è un programma che mi inquieta, per televisione, per esempio, invece di guardarmelo fino in fondo con morbosa curiosità, adesso cambio canale. Mi cerco un programma sugli animali, per esempio, o sulle bellezze di questo nostro splendido Paese. Voglio alleggerire la mia testa e il mio animo, non pensare, non angustiarmi per situazioni che non posso risolvere perché non sta a me farlo. Non voglio vivere con una nuvola nera costantemente avviluppata attorno alla mia testa e al mio cuore.
Al momento questa decisione mi sta scuotendo non poco. Avverto tutta una sorta di malesseri sia fisici che interiori. Turbolenze, voglia di piangere, attacchi di panico, ipocondria... e chi più ne ha più ne metta. Non sempre riesco a rimanere serena e consapevole. Ho avuto due episodi di totale smarrimento, nei quali ho pianto e mi sono disperata come una bambina impaurita. E tale mi sentivo.
Ho fiducia che tutto questo contribuirà a creare una me stessa migliore, ma al momento mi fa tremare le vene ed i polsi... Panta rei, tutto scorre. Tutto passa.

venerdì 13 dicembre 2019

Vado avanti...

Ritorno al lavoro.
Una pioggia stizzosa e l'allarme meteo hanno funestato un po' questo rientro dopo due mesi di convalescenza. Stamattina faceva un freddo pungente e le strade erano tutte bagnate. Oltretutto, per lavori sulla linea, ho dovuto prendere il tram ad una fermata diversa, più lontana. Devo camminare piano, fare attenzione a come muovo il piede. E' come se dovessi muovere per la prima volta i passi.
Confesso che una sorta di sensazioni diverse e contrastanti mi ha attraversata ad ondate, durante il periodo della convalescenza ed anche, in parte, adesso. Innanzitutto l'impazienza di guarire, di tornare a camminare, di star bene; poi la frustrazione di dovermi adeguare ai tempi di ripresa del mio fisico, che non erano quelli che mi aspettavo e che avrei voluto; poi, mano a mano che andavo riprendendomi, la consapevolezza di dover apportare dei cambiamenti alla mia vita.
Qualcuno direbbe, con espressione mutuata dalla lingua inglese, "work in progress". Si, è così, sono in pieno "lavori in corso". E non a caso durante il periodo prenatalizio. Un periodo indubbiamente particolare e non perché "siamo tutti più buoni". Perché è un periodo di riflessione per chi ha voglia di riflettere seriamente.
Cambiare, anche se non drammaticamente, la propria vita non è un processo facile. Anche gli aggiustamenti costano e si riflettono, inevitabilmente, sul fisico. Ci sono cose, poi, che si possono cambiare ed altre che bisogna lasciar stare, lasciar andare, così come sono. E questo è ancora più difficile.
Per quel che mi riguarda sono stanca di combattere contro i mulini al vento. E' poco intelligente. I mulini a vento sono mulini a vento. Niente di più e niente di meno. Inoltre ritengo che bisogna ammettere la "sconfitta", anche se battaglia non c'è stata. Le cose stanno così. Le persone sono così. Amen. Mi prendo la responsabilità di non averlo capito prima e di aver creduto di poter fare qualcosa in nome di ideali che, oramai, sopravvivono solo in qualche stucchevole film.
Mi arrendo e sto nel mio. Basta. Non ho voglia di combattere, di opporre resistenza. Mi lascio andare. Sia quel che sia. Evidentemente non ho la stoffa della lottatrice. Onestamente non riesco ad andare fino in fondo, non ce la faccio sia fisicamente che spiritualmente. Forse sto invecchiando.
Oggi, dunque, ho iniziato questo mio primo giorno post convalescenza con alcuni punti fermi. Spero di riuscire a mantenerli per il futuro, per quanto lungo questo sia. Il pensionamento (mi fa tristezza, comunque, il solo pensarci) è di là da venire e non so quanto durerà l'attuale "regime". Al momento non vedo lumi e non ho certezze. Sono solo stanca. Tanto.

martedì 10 dicembre 2019

Passaggi

Foto: Eleonora Olivetti
Non è facile districarsi tra le maglie dei pensieri, di un ritmo di vita che non è il mio, di sensazioni ed emozioni che non so come e se governare, di "attraversamenti" che mi tremano le vene e i polsi perché non so dove mi porteranno e come sarò "dopo".
Su internet e sui social ci sono cataste di belle frasi di maestri di vita, tratte da religioni o movimenti spirituali accompagnate da immagini che hanno l'intento di rilassare e predisporre al benessere l'anima e la mente. Guardo le immagini, leggo le frasi e non le sento risuonare dentro come dovrebbero. Mi sembrano un insieme di lettere che formano parole delle quali mi chiedo il significato.
Indubbiamente questa vita - intesa come esistenza in un momento ben preciso, in una società con dei ritmi e delle meccaniche strutturate - per me come per altri ha passaggi difficili da percorrere e, innanzitutto, da accettare. Tutto e tutti vanno troppo veloci, troppo imperniati su una superficialità, un'esteriorità che lascia - almeno a me - l'amaro in bocca ed un senso di vuoto che mi sgomenta. Non riesco ad adattarmi a tutto questo. Si consuma tutto e tutti troppo velocemente. Si scivola sulle vite degli altri come su una pista da sci, incuranti delle acque profonde, incuranti della vita e del vissuto di chi si incontra, di chi si sfiora, di chi si lascia.
In questo momento se mi guardo intorno avverto il vuoto. Mi ripeto costantemente - perché ne sono certa - che è un'esperienza che devo fare consapevolmente, attenta a cogliere i suggerimenti e gli insegnamenti che mi deve lasciare. Ma la mia natura umana, fragile e limitata, è spaventata, si sente indifesa ed esposta a venti e tempeste che non è sicura di potere e sapere governare.
Mi sento come se camminassi in una sorta di bolla enorme. Solo io. Mi volto, cerco una mano amica, un volto, un'attenzione, una sollecitudine... Trovo, è vero, tutto questo nel mio compagno di vita e non voglio assolutamente sminuire il suo contributo a farmi stare meglio di quanto mi senta. Ma c'è solo lui. Siamo solo noi due. Cerco di non chiudermi al mondo, cerco di intrecciare con gli altri un rapporto meno superficiale, meno scontato. Ma, mi dico amaramente, spesso mi sembra di esserci solo io, sembra che agli altri importi poco, occupati come sono a correre, correre, correre ed apparire.
Sono stanca, lo confesso, anche di ascoltare. Mi piace farlo, ma mi si riversano addosso problemi, lamentele, stanchezze che mi angustiano, mi annichiliscono. E non c'è, se non molto raramente, il contraccambio. Qualcosa non va in tutto questo. Devo cambiare qualcosa. Il mio approccio al mondo ma, penso, soprattutto il mio bisogno degli altri che, forse, è talmente manifesto da permettere a taluni di approfittarsene.
Credo che al bisogno devo sostituire il piacere e cominciare a pensare di non avere necessariamente il contraccambio. Come devo cominciare ad arginare il fiume di lamentazioni e sfoghi che mi si riversa addosso con la "scusa" che so ascoltare. E' difficile quest'ennesimo cambiamento. Mi sento come se stessi, immobile, titubante, sull'orlo di un burrone. Dall'altra parte c'è un altro percorso da fare. Devo solo saltare, ma mi chiedo se ce la farò. Se riuscirò a saltare sufficientemente a lungo per atterrare su una nuova pista. Il baratro che vedo, che c'è (o forse no) tra me e l'altra sponda mi spaventa. E' il nulla, il buio, il voto. Non posso, lo so, rimanere a lungo ferma. Devo prendere coraggio e spinta e tuffarmi.
Adesso, oggi, però, mi sento così sfiancata, sola, vuota che ho voglia solo di sedermi e piangere.

lunedì 9 dicembre 2019

Disfatta totale

Venerdì prossimo tornerò in ufficio. Mi piace lavorare ma da qualche anno a questa parte ho voglia solo di andarmene in pensione. L'atmosfera che respiro sul luogo di lavoro, la situazione in cui versa l'Ente, trasformato in una sorta di feudo medioevale, il fatto di essere circondata (io e quelli come me) da personaggi disgustosi, pronti a vendersi alla prima offerta, rende penoso e faticoso questo ritorno.
Da un po' di anni a questa parte la situazione è andata sempre più deteriorandosi. Qualità del lavoro e qualità delle persone sono nettamente scadute. Anche la "qualità" di chi ricopre cariche di responsabilità è andata sempre più diventando un miraggio. Adesso per essere un buon dirigente - almeno dove lavoro io - oppure un buon responsabile e sperare di conservare la tua posizione, devi essere "allineato", pronto a venderti e a farti tappetino, pronto anche a mentire spudoratamente ed anche pronto a giocarti la vita privata quando, obbiettivamente, non ce n'è motivo. Non si bada più al bene dell'Ente e ad un certo benessere dei dipendenti quanto piuttosto a razzolare più soldi possibile, anche punendo il personale con mezzi tutto sommato leciti ma poco lecitamente utilizzati, abilmente manipolati. Chi ha il compito di amministrare è un po' come un moderno Nerone: sensibile agli applausi, alle piaggerie di certo parterre, al consenso ipocrita. Ipocrita perché il "nostro" Nerone sa bene che quel consenso mai sarebbe offerto se lui non fosse quel che è.
Dunque, guai ad avere una propria personalità, un proprio modo di vedere le cose, una propria dignità: si viene spazzati via a favore di coloro che sanno piegarsi a 360 gradi, che sanno prostrarsi, che sanno - appunto - prostituirsi. Perché la prostituzione si esercita anche negli enti pubblici, quando si è pronti a soddisfare tutti i comandi e tutte le richieste di chi detiene ed esercita il potere. Non è necessario vi sia un mercimonio sessuale.
Il "bello", metaforicamente parlando, di questa situazione è che innanzitutto non si è provato a fare nemmeno un minimo di resistenza. Nemmeno da parte sindacale. Anzi, il primo obbiettivo di certi sindacalisti è stato proprio quello di conquistarsi poltrone e tutta una serie di garanzie per sé e per i loro protetti. Il che ha inevitabilmente portato ad uno svilimento della funzione sindacale e ad una perdita di forza nei confronti dell'amministrazione che ora guarda ai sindacati come a delle mosche, fastidiose si, ma solo mosche che possono esser cacciate via con una mano.
Ma neanche i dipendenti hanno fatto resistenza, mostrando un fronte compatto. Tutt'altro. Chi è rimasto fuori da questo delirio - come me ed altri pochi colleghi degni di questo nome - siamo una sparuta minoranza. La maggior parte si è svenduta per avere 2-3 ore di straordinario (lo straordinario non è riconosciuto a tutti, ovviamente!), per altre prebende economiche, per avere un trattamento di favore in caso di trasferimenti e compagnia cantante. Chi resiste ha vita grama, circondato da dipendenti-spie pronti a vendere te dopo aver venduto se stessi.
Bel quadretto, vero? E tante altre cose ci sarebbero da dire. Ci si potrebbe scrivere un libro oppure un bell'articolo su qualche giornale serio (sempre che esistano giornali seri), invitando chi può a reperire le prove (che ci sono, se pure ben nascoste) di questo ennesimo modo mafioso di gestire un pubblico servizio.
Se il nostro fosse un Paese serio e non in mano ai corrotti ed ai corruttori, ci sarebbero gli estremi per prendere a pedate nel culo un sacco di gente, spedendoli dritti dritti, nella migliore delle ipotesi, a coltivare cipolle nei campi. Ma così non è. La realtà è un'altra, triste e miserevole.
E' inutile, dunque, continuare a chiedersi come mai l'Italia affonda poco dignitosamente nel fango quando il marcio ha ben attecchito nel mondo del lavoro sia privato che - gravemente - anche nel pubblico. Bisognerebbe fare tabula rasa di molte situazioni, di molti feudi personali, di molta gente autoreferenziale, corrotta e corruttibile, incapace e senza spina dorsale. Ma cui prodest? direbbero i nostri concretissimi progenitori Romani.
Me ne devo fare una ragione. Tornerò a lavorare consapevole (perché già lo so) che a me è stato tolto un altro pezzettino di stipendio. Per cosa poi? Ad altri, ai corruttibili, a quelli che hanno saputo prostituirsi, invece, è stato dato. Oramai non ci credo più nemmeno io che le cose possono cambiare. Perché gli umani non cambiano. Non tutti, purtroppo.

domenica 8 dicembre 2019

Danza silenziosa

Ieri pomeriggio, dopo due mesi di convalescenza a causa di un'operazione, sono uscita a farmi una passeggiata nel quartiere, facendo attenzione a non stancarmi più del dovuto (sono ancora un po' sofferente). Mi piace passeggiare per le vie del quartiere. E' un'abitudine che coltivo da diverso tempo. Dopo due mesi di sosta forzata, poi, mi sembrava che tutto fosse "nuovo": palazzi, panorami, strade, negozi... tutto.
La sosta forzata, devo riconoscere, mi è servita molto. All'inizio non l'ho presa affatto bene: gli orari da rispettare per quel che riguarda le visite mediche, il fatto che immaginavo una convalescenza più rapida e meno invalidante e cose così. Poi, però, dopo aver "frignato" un po' 😊, mi sono resa conto che questo fermo nella mia vita di tutti i giorni non è capitato a caso. Tutt'altro.
Nel tran tran di tutti i giorni, lavoro-casa-spesa-faccende, ho trovato sempre poco tempo se non nessun tempo per stare con me stessa e conoscermi meglio. E' stato sempre tutta una corsa: vuoi per i mezzi pubblici che a Roma sono un "dramma" sociale, vuoi per i problemi lavorativi, che si solidificavano in lamentazioni continue unitamente ad un velo di depressione e senso di impotenza. Arrivavo a casa praticamente sfiancata mentalmente, più che fisicamente. Ed il malumore mi impediva di stare realmente con me stessa.
Questi benedetti - è davvero il caso che io lo dica! - mesi di convalescenza mi hanno aperto nuovi spiragli che, poco a poco, si sono rivelati essere delle finestre su me stessa e su quanto mi circonda. La distrazione con la quale ho guardato al mondo che mi circonda un po' non me la perdono. Ci sono tante cose e tante persone alle quali fare attenzione. Tante sfumature. Tante cose da dare, sentimenti da provare, emozioni...
Venerdì prossimo rientrerò in ufficio, purtroppo. Cercherò di portare con me e di sviluppare questo senso di "koinè", come la chiamavano i greci, di comunità. Mi aspetto che sia un po' difficile, per la situazione che da anni affligge l'ente in cui lavoro, ma sono consapevole che posso e devo "affrontare" tutto con uno spirito diverso: se voglio che le cose cambino devo essere io a cambiare. Il resto arriverà di conseguenza.
Oggi mi godo ancora questi scampoli di pace e di serenità. Mi godo, soprattutto, il silenzio: un bene prezioso fin troppo "snobbato", devo dire. Per la prima volta in tanti anni non ho potuto godermi la festa dell'Immacolata al mio quartiere di origine. Un po' mi è dispiaciuto, soprattutto per mia madre, con la quale pranzavamo e aspettavamo il passaggio della processione; ma mi è dispiaciuto anche per l'atmosfera, i ricordi, le sensazioni che travalicavano la bruttura delle bancarelle (niente da fare: gli anni hanno inciso negativamente sulla qualità della merce!) per approdare a tempi più felici, una sorta di "età dell'oro", a metà tra la fanciullezza e l'adolescenza.
Mi è capitato di pensare che, comunque, anche questa mia assenza non sia stata casuale. In questa giornata di inizio dicembre, la confusione in quartiere è tanta: gente ovunque, musica e richiami a tutto volume, confusione... Invece qui, in casa, il silenzio è così confortante, così liscio e tranquillo, avvolgente. Va bene così. Sto imparando a non forzare troppo la mano alle situazioni ed alle emozioni. Ho sempre creduto che la vita fosse una danza: ora devo solo andare a tempo senza star troppo a pensare ai passi. E, soprattutto, devo riprendermi il mio di tempo. Ascoltare la mia musica, lasciarmi andare, non pensare a quel che penserebbero gli altri se io dicessi o facessi la tal cosa piuttosto che la talaltra.
Voglio vivere la mia vita pienamente. Emozioni, sensazioni, sbagli compresi. Sono meravigliosamente imperfetta e non me ne importa più niente, oramai.